Guerra di trincea

“Basta soldato italiano, no ti fa uccidere così… ”. Con questa frase dei soldati austriaci, rivolta ai soldati italiani (gridata nel film “Uomini contro” del 1970, ispirato al libro e diretto dal regista Francesco Rosi) si potrebbe riassumere tutta la tragedia della prima guerra mondiale.

Una guerra in cui centinaia di migliaia di soldati italiani, comandati da generali incompetenti, vanno all’assalto gridando “Savoia! Viva il re!” e vengono trucidati dalle mitragliatrici nemiche.

Tutti gli eserciti coinvolti erano certi che la guerra sarebbe durata qualche mese e sarebbe stata una “guerra di movimento”. Al contrario, la prima guerra mondiale, che ha coinvolto oltre 70 milioni di persone, è stata una guerra combattuta sostanzialmente in trincea.

La trincea era una fossa scavata nel terreno, lunga decine e decine di chilometri, profonda qualche metro, fortificata con sacchi di sabbia, protetta dal filo spinato e da armi tecnologicamente sofisticate per l’epoca, come i fucili a ripetizione, le mitragliatrici e le bombe a mano.

Normalmente veniva realizzato un sistema di trincee collegate tra loro (linee di trincee) con funzioni strategicamente differenti. Ad esempio, la prima linea era quella che attaccava, e di conseguenza, veniva attaccata prima. Questa linea potrebbe essere paragonata a quella dei pedoni su una scacchiera.

I problemi in trincea erano numerosi: il fetore proveniente dai corpi dei morti in putrefazione, specie quelli che giacevano nella cosiddetta “terra di nessuno” (tra due trincee nemiche), il tanfo degli escrementi, la terra che, quando pioveva, si trasformava in fastidiosissimo fango, i topi, le pulci e tanti altri gravi problemi sanitari da fronteggiare continuamente. Per non parlare dei traumi visivi, uditivi e psicologici dei soldati, provocati dal martellante e assordante rumore delle bombe, delle mitragliatrici, degli aerei da combattimento e dalle terribili scene di morte dei compagni.

Molti soldati, pur di tornare a casa, si mutilavano un braccio o una gamba in modo da essere dichiarati invalidi e rispediti a casa. Altri, invece, pur di non assistere più a quello scenario raccapricciante, partivano all’attacco, ormai senza alcuna speranza, per porre fine a un vero e proprio supplizio.

I fortunati che riuscivano ad arrivare alla trincea nemica spesso morivano ugualmente perché magari rimanevano bloccati nella morsa del filo spinato, impossibile da tagliare con le tenaglie scadenti fornite dalle industrie italiane, molte delle quali in quegli anni terribili facevano affari grazie alla guerra …

Solo in un caso non ci furono cadaveri nella “terra di nessuno”. Fu durante la notte di Natale del 1914, quando 100.000 uomini coinvolti nelle varie zone del fronte occidentale smisero di spararsi a vicenda e alcuni di essi, tedeschi e britannici, uscirono dalle rispettive trincee scambiandosi mostrine, foto, bottoni, alimentari, sigarette e intonando canti di natale. E’ un’importante testimonianza di quanta umanità c’era nei soldati che hanno combattuto questa guerra fratricida.

Pubblicato da Francesco Saverio Mongelli

Classe 1997, barese. Autore di canzoni, poesie, saggi, articoli. Musicista e scacchista, appassionato anche di antimafia, attualità, giornalismo, arte e cinema.