Intervista a Riccardo Orioles

L’intervista è parte della tesi, della maturità liceale, dal titolo: “Il giornalismo d’inchiesta nella lotta alle mafie. Come il sapere e le arti possono aiutare la legalità” [luglio 2015]

Riccardo Orioles, giornalista. Collabora con “il Fatto Quotidiano”, ha fondato nel 1982 assieme a Pippo Fava il mensile “i Siciliani” ed è autore del libro “Allonsanfan. La mafia, la politica e altre storie”.  

Come è cambiata, a suo giudizio, la mafia in Sicilia nelle sue abitudini, nelle gerarchie, nel modo di fare affari, dagli anni ’50-’60 ad oggi?

Allora la mafia era un fenomeno esclusivamente siciliano, basato sul controllo del territorio nel quadro di un’economia locale, prima latifondista e poi di urbanizzazione selvaggia. I rapporti coi vari governi (costanti fin dalle origini) erano limitati territorialmente e non incidevano nella politica generale del Paese. Erano tuttavia importantissimi al sud, dove costituivano uno dei principali assetti di potere; erano asimmetrici, nel senso che i politici erano più forti dei mafiosi. Dalla fine degli anni ’70, con l’enorme accumulazione di capitali prodotta dai traffici internazionali di droga, il rapporto si squilibra a favore dei mafiosi, l’assetto territoriale comprende via via l’intero territorio nazionale e le richieste dei mafiosi si estendono molto al di là di una generica tolleranza verso attività criminali.

Ha un ricordo particolare di Giuseppe Fava?

Beh, è difficile sceglierne uno, davvero difficile. Eravamo amici.

Entrarono nel bar chiacchierando fra loro.
Il primo, dignitoso: “Un gin-tonic, prego!”.
Ed il secondo, ironico: “Al mio amico, un gettone!”.
Bevono in solitudine, nel gran cerchio del mondo.
Uno continua a sorridere, l’altro
– una volta ancora – s’è destato.

Giuseppe Fava aveva lanciato, nel suo primo editoriale della rivista I siciliani, l’appellativo “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, riferendosi ai quattro imprenditori che hanno dominato Catania. Cosa può fare lo Stato, quello onesto, per “incastrare” gente così?

Quello che fece Falcone a Palermo negli anni ’80 e quello che sta succedendo a Catania (con trent’anni di ritardo) col nuovo Procuratore Salvi. Indagare a fondo, senza guardare in faccia a nessuno. Utilizzare lo strumento (non a caso oggi contestato) del concorso esterno in associazione mafiosa.

Giancarlo Caselli o Pietro Grasso?

Senz’altro Caselli. Io non amo i magistrati (veramente neanche i giornalisti…) che si danno alla politica. La vera politica, magistrati e giornalisti, la operano facendo bene il loro mestiere. Servizio della polis, non ricerca di potere. Caselli, dopo Falcone e Borsellino, è quello che ha fatto di più per colpire la mafia politica. Oggi è un collaboratore fisso dei “Siciliani giovani” e ne sono molto orgoglioso.

Pur non essendo vissuto negli anni in cui è stato segretario del PCI, mi sono appassionato alla figura politica di Enrico Berlinguer. Che giudizio ha di quest’uomo?

E’ il simbolo di una stagione civile e umana del nostro Paese. Allora la politica era al centro di tutto, la maggior parte dei cittadini aveva delle idee precise e cercava, nel suo piccolo, di portarle avanti. Adesso la politica è un aspetto molto marginale della vita del Paese, i principali poteri sono direttamente economici (e a volte anche economico-mafiosi).

Ha mai conosciuto, oltre Pippo Fava, qualcuno dei nove giornalisti uccisi dalla mafia? Che ricordo ne ha?

Ho lavorato, in Lotta Continua, con Mauro Rostagno e Peppino Impastato. Mauro era un grandissimo intellettuale, uno della fase alta della sinistra italiana; a Palermo è stato un leader popolare, non un politicante, ma proprio un capopopolo sudamericano :-). Peppino ha vissuto gli ultimi anni in un periodo di riflusso, in cui i “compagni” (1977) portavano avanti le idee più astratte e disparate, mentre lui si ostinava a combattere il potere reale del suo paese, il potere mafioso.

In attesa di un risveglio dai piani alti della politica, cosa possiamo fare noi giovani per contribuire alla lotta contro le mafie?

Non credo che i “piani alti”, ormai parassitari, si risveglieranno. Io da molti anni credo al “partito di Falcone e dei ragazzini”, cioè i movimenti dei giovani più i magistrati onesti. Sarei presuntuoso a dirti cosa devi fare. Direi che devi vivere liberamente, divertendoti, non rinunciando a niente, facendo esattamente quello che ti piace, ma facendolo sempre con altri, e ribellandoti a chiunque e a qualunque cosa cerchi di impedirtelo. Anarchia? No: profondo senso di cittadinanza. Dentro di te c’è qualcosa che ti suggerisce esattamente quali comportamenti sono belli e quali no, quali ti rendono migliore e quali ti spingono in basso. Segui questo qualcosa, sii benevolo verso i tuoi colleghi esseri umani, non sentirti mai solo

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Pubblicato da Francesco Saverio Mongelli

Classe 1997, barese. Autore di canzoni, poesie, saggi, articoli. Musicista e scacchista, appassionato anche di antimafia, attualità, giornalismo, arte e cinema.